Vabbè, io ferma a Pasolini, Petri e Volonté
Tempo fa mi chiedevo che senso avesse oggi parlare di "musica di nicchia" vs "musica da massa".
Ero su una piattaforma di streaming di musica, famosissima, logo verde e nero, ogni riferimento è puramente casuale.
... Comunque, becco una playlist che è abbastanza simile al tema di una che avevo precedentemente creato. Ciò che mi incuriosisce è questo potere silenzioso che hanno le piattaforme mediali: il meccanismo della riproduzione/associazione simile. L'identità viene riconosciuta per le presunte affinità e incasellata in una cornice. In questo scenario mi chiedo cosa ne resta dell'unicità dell'individuo!?
Un tempo artisti, intellettuali, storici non si sarebbero battuti per la messa in critica di questo ordine?
La rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza.
P.P.P.
AMEN.
Come mai si rintracciano poche cantautrici italiane?
Il mondo dei sentimenti e delle emozioni è raccontato in maniera frequente dagli uomini, penso a De Andé, Guccini, Battiato, etc. La mia domanda non è mossa da rivendicazioni femministe - per amor del cielo - la sfera affettiva è una questione esistenziale e universale. Nell’ascolto dei brani scritti da questi, rintraccio che:
1) riescono a cogliere ed intepretare, magistralmente, la condizione umana;
2) ma la narrazione si snoda secondo una prospettiva maschile.
Ascoltare De André che parla di amore è un’esperienza che non pensavo potesse essere, emotivamente, destabilizzante. Il modo in cui ha impostato la melodia, fa sì che ci sia immedesimazione tra testo e suono. C’è, però, qualcosa che manca e che non mi permette di empatizzare a pieno... e che si riconduce alla domanda di apertura...
Non cerco, ovviamente, l’emotività femminile nei brani di De Andrè. Ascoltarlo mi ha fatto realizzare che, a livello generale, mancano donne cantaurici così d’impatto..........
O forse: sono io che sono stata “inculcata” a considerare soltanto questi come interpreti anziché volgere lo sguardo altrove?
essere una studentessa di antropologia is like ogni treperdue imparare un nuovo linguaggio di settore. Ieri psicologia, l’altro ieri economia, oggi mi tocca studiare termini di ambito giuridico. Non ci sto capendo un cavolo della differenza tra leggi, decreti leggi, comma. E poi certi rimarcano: “eh vabbé che ci vuole a studiare le materie umanistiche”.
Inspira
Qualcosa che non è mai esistito non può farti del male.
Espira
Qualcosa che non è mai esistito non può farti del male.
Di nuovo.
"Diari'' di campo
Margaret Mead, Sto proprio bene e resisto al clima con lodevole coraggio.
Alfred Métraux, Scrivo queste righe sdraiato nel mio sacco e illuminato da una stenta candela
Claude Lévi-Strauss, Mi sembrò che i problemi che mi tormentavano potessero fornire materia per un lavoro teatrale.
Paul Rabinow, Il mondo era diviso in due: quelli che avevano fatto ricerca sul campo e quelli che non favevano fatta
prossimo work life goals:
🔸️mettersi fuori da Zara indagare la sua estetica, rappresentazione, incorporazione.
| GG/MM/AA |
chissà mai che in futuro non si riescano a decodificare immediatamente anche i nostri pensieri?
Piero: Buonasera.
Vittoria: Sera.
Piero: Cosa stavi scrivendo?
Vittoria: Traduco un po' di roba dallo spagnolo.
Piero: Ah! E come si dice in spagnolo che vorrei salire da te?
Vittoria: Si dice che non puoi. Brutta lingua lo spagnolo, eh.
Piero: Io non capisco perché dobbiamo perdere il tempo così.
Vittoria: Neanch'io.
L'Eclisse, 1962, Michelangelo Antonioni
Qualche giorno fa ho visto La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, film cult di inizio anni ’70. Oltre che a rappresentare la vita di un operaio, Lulù Massa, credo che questo film metta bene in evidenza le contraddizioni del pensiero politico che possa essere di destra o di sinistra. È infatti un film polemica che descrive i fatti sociali e culturali di quegli anni (es. la vita in fabbrica, il ruolo dei sindacati, l'edonismo consumista) astenendosi da moralismi o ipocrisie.
Mi hanno colpito alcune scene.
[Segue sotto]
Militina: Su questo pianeta pieno di ospedali, di manicomi, di ospedali, di fabbriche, di caserme, di autobus. Il cervello se ne scappa. Sciopera. Sciopera. Sciopera.
Lidia: Te senza i padroni cosa saresti? Un morto di fame saresti. E ci avresti pure un avvenire sicuro.
[Lulù, operaio protagonista di questo film, è stato appena licenziato e va in università dagli studenti di sinistra. Questi poco prima avevano fomentato gli operai affinché quest’ultimi riconoscessero lo sfruttamento da parte dei “padroni”. Segue questo dialogo].
Lulù: Ehi sono io Lulù. Lo sai che ho perso il posto?
Studente di sinistra: Eh lo so. Lo so.
Lulù: Stai qui a dormire. Ma stamattina potevi venir lì.
Studente di sinistra: Non possiamo star lì.
Lulù: Ma almeno tu.
Studente di sinistra: Faccio quello che posso. Siamo ancora in pochi. Ieri eravamo nelle officine. Oggi nelle scuole. Noi cerchiamo con il nostro lavoro di far esplodere le contraddizioni. Per cambiare questo sistema di vita.
Lulù: Ma mi avete cambiato a me. Mi avete fatto perdere il posto.
Studente di sinistra: È che fino a quando obbedisci al padrone nessuno ti tocca. Poi ad un certo punto prendi coscienza e sei fottuto. Ma questo lo dovevi sapere, no Lulù? Non è una novità.
Lulù: Mica scemo! Lo so anch’io come stanno le cose. Andiamo venite, con questi studenti davanti alla fabbrica.
Studente di sinistra: Siamo divisi. Siamo pochi.
Lulù: Pochi? Io devo mangiare! Capito?
Studente di sinistra: Il tuo è un caso individuale. Personale. Non è questo quello che ci interessa. Noi vogliamo un discorso di classe. Vuoi un discorso personale? Vuoi?
Lulù: Cosa me ne frega a me del discorso personale?
Studente di sinistra: Toh! Guardami in faccia! Ho 30 anni. Guarda come sono ridotto! Sono fuori corso.
Lulù: Non gridare.
Studente di sinistra: Ho fatto tre esami.
Lulù: E io ho fatto intossicazione da vernici.
Studente di sinistra: E io c’ho la piorrea. Va bene?
Lulù: Cosa devo fare adesso?
Studente di sinistra : A me che mi frega di che devi fare. Quello che ti pare. Ci sono mille modi di vivere. Prova a cambiare. A non vivere come sei stato abituato. Resta qui con noi. Oramai sei disoccupato. Puoi fare quello che vuoi.
Lulù: Guarda. Non far lo spiritoso. Già ho preso io delle decisioni. Cosa devo fare da me. Arrivederci. Tante Belle cose.
Studente di sinistra 2: Massa ma perché non resti qui?
Lulù: Te sei studente.
Studente di sinistra 2: Sì. È vero sono studente.
Lulù: Te sei studente...
Studente di sinistra 2: È logico. Io lavoro e mi pago gli studi.
Lulù: Fai largo va. Fai andar via la gente. Studenti?! Vai a studiare. Va’. Buon studio. Arrivederci.
Se il pensiero fosse materia
Nell’universo mentale ricorre periodica-mente un pensiero, principalmente quando la realtà intorno è silente. Questo vaga a briglie sciolte e richiama all’attenzione.
Un momento dopo, però, si comprende che, forse, sarebbe stato opportuno trascurarlo. Questo inizia a farsi pesante, pressante e finisce per egemonizzare l’intero spazio.
In un successivo momento si realizza che questo non dispone del controllo. La responsabilità dipende esclusiva-mente da chi quell’universo mentale lo possiede. Il soggetto infatti comprende che è lui ad aver deciso di prendere parte al gioco. È lui a controllare, nutrire e disciplinare la torbida macchinazione che si materializza e si snoda attraverso le parole, le immagini, i suoni e i colori. Si tratta però di un gioco di co-dipendenza: sussiste lui affinché sussista il pensiero.
E nel momento finale, il soggetto appura che si sta semplice-mente servendo di quel pensiero, per affermare le manie da narciso ferito. Quel pensiero gli serve a renderlo umano e a raccontare al vento le sue lagnanze. Sa, nel fondo del suo animo, che la realtà è fin troppo quiete… ma lui necessita di una valida ragione per vivere, finendo per attaccarsi a quei pensieri umanizzanti.
8 agosto || in principio era: “Vabbe’ devo appuntarmi queste cose…”
È legger-mente sconfortante riconoscere, solo al 5 anno di università, che la parte più interessante del mestiere dell’antropologo non sta soltanto nello studio del pensiero di X, Y, Z, ma nel relazionarsi e nel confrontarsi diretta-mente con l’oggetto di studio, cioè con le persone. Le interviste qualitative, che sto realizzando, mi fanno comprendere l’importanza di non tralasciare che, al di là delle teorie, ci sono gli esseri umani in carne ossa.
Quando intervisto — che parolaccia —, quando chiacchiero con i miei “informatori” ho accesso ad un qualcosa — non so come definirlo — che difficilmente trovo nei libri (e credo che non lo troverò mai).
In questi momenti provo sempre qualcosa di diverso, di unico e di irripetibile. Credo che sia un’esperienza
d e s t a b i l i z z a n t e,
che non vorrei declinare attraverso l’opposizione “positivo/negativo”. Quest’esperienza ha degli elementi, almeno così ho rintracciato, in cui mai nessuno la pensa, davvero, come te. Ciascuno è un universo a sé, vive la società, gli stimoli, l’intera realtà in maniera totalmente inedita, diversa. Anche se a volte mi sembra che tutti i pensieri e le persone si muovano uniforme-mente, realizzo che non è così. E così mi lascio trasportare da ciò che il mio interlocutore decide di raccontami, anziché seguire, tendenziosa-mente, la mia linea di pensiero… È arduo, certamente! Cogliere però il punto di vista dell'altro, documentarlo, ascoltarlo è un passo necessario per capire cosa siano questi problemi del e nel sociale.