17.28 | 1° luglio 2021
Essere umani è davvero particolare. Sei nella tua testa e inizi a intavolare discorsi, a rimurginare su cose di cose, a pensare a questo piuttosto che a quest'altro, ma basta una piccola e innocua distrazione a dissipare l'intero soliloquio.
[da uno sguardo ampio e generale...
Quando per impostare la tua ricerca quantitativa, devi intercettare gli imprenditori del domani e ti chiedi: "Se fossi un imprenditore che percorso di studio farei?". Giusta-mente per creare quel valore lì, devi solidamente formarti. "In confronto a te, il candido di Voltaire è Arsenio Lupin" concluderai amara-mente.
Ma... Ma? Da un primo lavoro di mappatura, i senior rich-boys, nella maggiorparte dei casi non dispongono di un titolo di studio. E inizi a sclerare. "Dove siete!" urli mental-mente, perchè sai che la telepatia funziona sempre.
Anche se... Anche se!? Anche se, vorresti aprire una ricerca in parallelo, per capire "ti pareva" il motivo della mancata erudizione degli impresari.
... si dettaglierà in seguito]
12:46 || meglio forze sinistre che serendipità (pliz)
Al liceo avevo affinità con filosofia, ma proseguii i miei studi con antropologia perché ritenevo che mi desse una preparazione di tipo pratico e meno astratto. Ero arrivata a questa considerazione dopo che mi ero documentata (shame on me! Vabbè ero una bimbaminkia e non si era ancora compiuta “l’ascesi”) su Yahoo answer. Rimasi affascinata dal modo in cui l’utente spiegava gli elementi costitutivi dell’antropologia. E così a diciannove anni scelsi quell’ambito di studio, ignara del potenziale di quella scelta.
Guardando ad oggi, sto leggendo un’intervista, sulle traiettorie dell’antropologia culturale in Italia. L’intervistato, noto antropologo italiano, racconta che si è laureato in filosofia… dato che negli anni ‘50 del ‘900 in Italia non era ancora presente una facoltà di antropologia.
Il passo mi ha lasciata piacevolmente scossa, perché ripenso alle me diciannove che guardava all’antropologia come un puzzle. Avete presente quello da 1000 pezzi, dove i tasselli si dispongono alla rinfusa e viene piuttosto complicato assemblarli, ma succede poi qualcosa che li fa unire coerente-mente…
(Boh. Forse gli spiriti e i demoni, quelli delle culture “esotiche” o “extra-occidentali” che cercano di comprendere gli antropologi, iniziano un po’ a condizionare il corso degli eventi della mia esistenza.)
|| keep it in case of an emergency ||
Qualche giorno fa ho visto La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, film cult di inizio anni ’70. Oltre che a rappresentare la vita di un operaio, Lulù Massa, credo che questo film metta bene in evidenza le contraddizioni del pensiero politico che possa essere di destra o di sinistra. È infatti un film polemica che descrive i fatti sociali e culturali di quegli anni (es. la vita in fabbrica, il ruolo dei sindacati, l'edonismo consumista) astenendosi da moralismi o ipocrisie.
Mi hanno colpito alcune scene.
[Segue sotto]
Militina: Su questo pianeta pieno di ospedali, di manicomi, di ospedali, di fabbriche, di caserme, di autobus. Il cervello se ne scappa. Sciopera. Sciopera. Sciopera.
Lidia: Te senza i padroni cosa saresti? Un morto di fame saresti. E ci avresti pure un avvenire sicuro.
[Lulù, operaio protagonista di questo film, è stato appena licenziato e va in università dagli studenti di sinistra. Questi poco prima avevano fomentato gli operai affinché quest’ultimi riconoscessero lo sfruttamento da parte dei “padroni”. Segue questo dialogo].
Lulù: Ehi sono io Lulù. Lo sai che ho perso il posto?
Studente di sinistra: Eh lo so. Lo so.
Lulù: Stai qui a dormire. Ma stamattina potevi venir lì.
Studente di sinistra: Non possiamo star lì.
Lulù: Ma almeno tu.
Studente di sinistra: Faccio quello che posso. Siamo ancora in pochi. Ieri eravamo nelle officine. Oggi nelle scuole. Noi cerchiamo con il nostro lavoro di far esplodere le contraddizioni. Per cambiare questo sistema di vita.
Lulù: Ma mi avete cambiato a me. Mi avete fatto perdere il posto.
Studente di sinistra: È che fino a quando obbedisci al padrone nessuno ti tocca. Poi ad un certo punto prendi coscienza e sei fottuto. Ma questo lo dovevi sapere, no Lulù? Non è una novità.
Lulù: Mica scemo! Lo so anch’io come stanno le cose. Andiamo venite, con questi studenti davanti alla fabbrica.
Studente di sinistra: Siamo divisi. Siamo pochi.
Lulù: Pochi? Io devo mangiare! Capito?
Studente di sinistra: Il tuo è un caso individuale. Personale. Non è questo quello che ci interessa. Noi vogliamo un discorso di classe. Vuoi un discorso personale? Vuoi?
Lulù: Cosa me ne frega a me del discorso personale?
Studente di sinistra: Toh! Guardami in faccia! Ho 30 anni. Guarda come sono ridotto! Sono fuori corso.
Lulù: Non gridare.
Studente di sinistra: Ho fatto tre esami.
Lulù: E io ho fatto intossicazione da vernici.
Studente di sinistra: E io c’ho la piorrea. Va bene?
Lulù: Cosa devo fare adesso?
Studente di sinistra : A me che mi frega di che devi fare. Quello che ti pare. Ci sono mille modi di vivere. Prova a cambiare. A non vivere come sei stato abituato. Resta qui con noi. Oramai sei disoccupato. Puoi fare quello che vuoi.
Lulù: Guarda. Non far lo spiritoso. Già ho preso io delle decisioni. Cosa devo fare da me. Arrivederci. Tante Belle cose.
Studente di sinistra 2: Massa ma perché non resti qui?
Lulù: Te sei studente.
Studente di sinistra 2: Sì. È vero sono studente.
Lulù: Te sei studente...
Studente di sinistra 2: È logico. Io lavoro e mi pago gli studi.
Lulù: Fai largo va. Fai andar via la gente. Studenti?! Vai a studiare. Va’. Buon studio. Arrivederci.
|Alzare gli occhi al cielo non è peccato|
Ascolto quotidianamente omelie e prediche sull'accettazione personale e sul dover raggiungere un equilibro tale da distaccarsi dagli ideali, reali e non, che la nostra società ci propone. Non posso constatare quanta superficialità nascondano queste litanie. Questi ragionamenti mi sembrano delle illusioni create per arginare sommariamente il problema. Nonostante l’individualismo onnipresente-> siamo individui immersi in un contesto sociale.
Secondo me non esisterà mai un sano discorso di ‘accettazione personale’, fino a quando non si inizierà a ragionare, operativa-mente, su come l'essere umano si confronta e si relaziona con la società e con i suoi simili. Solo quando si capirà come avviene o come viene vissuto lo scambio soggetto-mondo, forse si comprenderà come realizzare questa benedetta “accettazione personale”.
Immagina e avvicinati a quella realtà che ancora nessuno, per pigrizia o mancanza di aspirazione, ha realizzato. Sarà difficile, sicuramente. Come disse, però, Pasolini: Non lasciarti tentare dai campioni dell’infelicità, dalla mutria cretina, dalla serietà ignorante. Sii allegro.
Come mai si rintracciano poche cantautrici italiane?
Il mondo dei sentimenti e delle emozioni è raccontato in maniera frequente dagli uomini, penso a De Andé, Guccini, Battiato, etc. La mia domanda non è mossa da rivendicazioni femministe - per amor del cielo - la sfera affettiva è una questione esistenziale e universale. Nell’ascolto dei brani scritti da questi, rintraccio che:
1) riescono a cogliere ed intepretare, magistralmente, la condizione umana;
2) ma la narrazione si snoda secondo una prospettiva maschile.
Ascoltare De André che parla di amore è un’esperienza che non pensavo potesse essere, emotivamente, destabilizzante. Il modo in cui ha impostato la melodia, fa sì che ci sia immedesimazione tra testo e suono. C’è, però, qualcosa che manca e che non mi permette di empatizzare a pieno... e che si riconduce alla domanda di apertura...
Non cerco, ovviamente, l’emotività femminile nei brani di De Andrè. Ascoltarlo mi ha fatto realizzare che, a livello generale, mancano donne cantaurici così d’impatto..........
O forse: sono io che sono stata “inculcata” a considerare soltanto questi come interpreti anziché volgere lo sguardo altrove?
Cosa accadrebbe, se un nuovo resoconto agitasse le conclusioni desunte?